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Quando si parla di problemi alimentari bisogna smantellare alcuni pregiudizi, primo fra tutti che la responsabile della problematica sia sempre la madre.
Infatti, quando parliamo della madre non intendiamo la persona fisica ma la funzione psichica che viene incorporata attraverso la relazione con chi ci accudisce. La madre ci รจ indispensabile per strutturare il nostro mondo interno e filtrare per noi le esperienze esterne in maniera tollerabile e digeribile per il nostro apparato psichico.
Di solito รจ compito della madre biologica, nei primi mesi di vita, ma non รจ detto che sia sempre cosรฌ.
Molte coppie di oggi, infatti, si alternano bene nella funzione di accudimento primario del bambino. Allo stesso modo esiste una funzione paterna, che non รจ detto sia svolta solo e unicamente dal padre, ad esempio un genitore singolo puรฒ farle entrambe.
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Della madre riconosciamo la capacitร di accogliere, supportare e accettare incondizionatamente (caratteristica che non dipende dall’essere donna). La funzione paterna, spesso svolta da tante madri, รจ rappresentata dall’applicazione della norma, ovvero il richiamo alla necessitร di accettare la realtร con i suoi limiti.
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il cibo รจ insieme la prima risposta fisiologica e la piรน arcaica al dolore (il bambino si attacca al seno per nutrirsi). Le regole imposte dalla funzione paterna servono per digerire la separazione dalla madre ed entrare nel mondo. Il buon padre, la cui importanza incrementa col crescere del figlio, impone al bambino una frustrazione sostenibile e non eccessiva. Per far questo deve essere in grado di comprendere a che punto รจ il bambino nella sua evoluzione.
Se si ragiona in questi termini, emerge la centralitร della forte connessione presente nella triade madre-padre-bambino nella prospettiva di una comprensione maggiore del disturbo alimentare.
Si tratta di entrare in uno spazio corporeo non verbale per tradurlo in una semantica che ricostruisca l’individuo. Tutto ciรฒ non puรฒ che avvenire in un campo relazionale che abbia una visione sistemica del malessere di tutti, non solo di chi รจ portatore del sintomo, quindi dell’intera famiglia.
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Un sintomo puรฒ essere considerato come una porta verso mondi infiniti. La prima cosa che dobbiamo chiederci รจ: “Cosa non so della mia relazione con mio figlio?” Occorre poi accettare che un figlio non sia nostro, nel senso che non appartiene a noi e non possiamo nรฉ dobbiamo possederlo.
La madre, di fronte a un bambino che non mangia, si puรฒ sentire come se fosse il suo il corpo a digiuno. Invece il corpo รจ del figlio, che deve conoscere i propri confini corporei e il suo senso di sazietร . Il senso di controllo che porta il digiuno puรฒ comprensibilmente spiegare l’euforia della persona che soffre di anoressia.
L’obiettivo finale รจ quello di non sentire il corpo, anestetizzarlo per stare nel paradosso in cui il corpo รจ un po’ della madre, che cosรฌ continua ad occuparsene, e un po’ della figlia, che si illude di controllarlo (vomito, uso di lassativi, attivitร fisica in eccesso, ecc.)
๐๐ข๐๐ฉ๐ฉ๐ซ๐จ๐ฉ๐ซ๐ข๐๐ซ๐ฌ๐ข ๐๐๐ฅ ๐๐จ๐ซ๐ฉ๐จ
Sappiamo quanto la magrezza sia associata alla bellezza e all’avvenenza di una persona.
Il corpo diventa qualcosa da ostentare e mostrare ma non da abitare e vivere come fonte di gioia e piacere. L’anoressia, come altri disturbi alimentari, rappresenta una richiesta d’amore e presenta diverse sfaccettature.
In molti casi, infatti, i disturbi alimentari rappresentano una soluzione che ha permesso al soggetto di sopravvivere a vissuti dolorosi importanti, che hanno lasciato un segno indelebile all’interno della psiche divenendo traumatici.
La ferita alla fiducia che sta alla base puรฒ essere guarita solo se la relazione terapeutica funziona e spesso le tante esperienze di cura fallimentare possono portare a cronicizzare il disturbo.
Per tale motivo รจ fondamentale approcciarsi ogni volta alla persona come se fosse la prima volta, in quanto la chiave di accesso รจ rappresentata dall’incontro da essere a essere.
Dott.ssa Raffaella Pantini
photo : Gustavo Fring
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