7 ᴄᴏɴsɪɢʟɪ ᴘᴇʀ ᴀғғʀᴏɴᴛᴀʀᴇ ʟᴀ ғᴀᴍᴇ ɴᴇʀᴠᴏsᴀ

7 ᴄᴏɴsɪɢʟɪ ᴘᴇʀ ᴀғғʀᴏɴᴛᴀʀᴇ ʟᴀ ғᴀᴍᴇ ɴᴇʀᴠᴏsᴀ
Alcuni di voi hanno richiesto di dedicare uno spazio per soffermarmi sulla fame nervosa e ciò che vi gravita attorno, perciò ho pensato di scrivere un articolo per approfondire la tematica.
“Ti è mai capitato di mangiare perché ti senti male, triste, annoiato o di qualsiasi altro umore?”
Il nostro compo

rtamento alimentare può essere influenzato dalle emozioni che quotidianamente proviamo: essere in ansia, oppure essere sobbarcati dal lavoro, lo stress, la tristezza possono aumentare l’appetito e portare a ricercare maggiormente cibi ricchi di grassi e dolci, stimolando la cosiddetta fame nervosa.
La fame nervosa è un termine di uso comune per indicare quella che viene definita Emotional Eating, ed indica la tendenza ad utilizzare il cibo come strategia per fronteggiare eventi stressanti. Corrisponde, quindi, ad un cambiamento nel comportamento alimentare in risposta a degli stimoli emotivi negativi e può portare sia a un aumento dell’assunzione di cibo che a un evitamento dello stesso.
Capita così che in preda alla fame nervosa si veda il mangiare come unico modo per sconfiggere la tristezza di un momento, oppure per quietare i sintomi di irrequietezza e agitazione dell’ansia. Il cibo viene visto anche come unico motivo legittimo per concedersi una pausa, ad esempio, dal lavoro, dallo studio o da qualsiasi altra attività noiosa, o ancora un modo per scaricare e sfogare la rabbia. In tutti questi casi, si ricorre al mangiare non per soddisfare un bisogno fisiologico, ma per saziare una voglia di cibo scatenata da segnali emotivi.
Alcuni studi hanno confermato che il comportamento alimentare è influenzato dalle condizioni di stress attraverso alcuni meccanismi biologici. Lo stress cronico, infatti, provoca un cambiamento nella regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Il rilascio di cortisolo aumenta l’appetito e modifica il comportamento nutrizionale, guidando la persona a scegliere dei cibi ricchi di grassi oppure dolci che riducono nel breve tempo la percezione dello stress e dei biomarcatori dello stress. Si ipotizza così che l’esposizione prolungata allo stress potrebbe causare la fame nervosa, non correlata alle risposte di fame o di sazietà, ma innescata da segnali emotivi.
È stato dimostrato che l’emotional eating è un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi alimentari come la bulimia nervosa e il Binge eating (o alimentazione incontrollata).
Alcuni autori ipotizzano che l’instaurarsi di comportamenti alimentari disfunzionali, si sviluppi fin dalla primissima infanzia. Pensiamo ad esempio, a quando l’angoscia di un bambino viene sedata impropriamente col cibo: il piccolo imparerà che l’alimento è un sostituto di parole consolanti o di abbracci rassicuranti. Il tipo di risposta che ottiene dalla persona che si prende cura di lui, non è sintonizzata con i suoi reali bisogni e può avere come conseguenza l’incapacità di distinguere la fame da altre sensazioni e una limitata consapevolezza emotiva.
Anche negli adulti, quando la consapevolezza emotiva è scarsa, alcune sensazioni fisiche come la sazietà e la fame possono essere confuse con alcuni sentimenti elicitati da rapporti interpersonali significativi. Ad esempio, il senso di vuoto derivante da un’esperienza di distacco emotivo e relazionale può essere confuso per una sensazione di fame.
𝐐𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐞𝐠𝐢𝐞 𝐚𝐝𝐨𝐭𝐭𝐚𝐫𝐞?
1️⃣ Prima di tutto è importante riuscire a distinguere la fame biologica, dettata cioè da un appetito biologico, dalla fame nervosa.
2️⃣ Per far questo può essere utile registrare annotando ad esempio su una scheda, il cibo ingerito quotidianamente e le sensazioni fisiche e gli stati emotivi nel momento stesso in cui si mangia.
3️⃣ Differenziare la fame nervosa da quella biologica ci permette di imparare a soddisfare solo quella naturale.
4️⃣ L’altro passo fondamentale è quello di osservare senza giudizio le emozioni che precedono l’emotional eating, in modo da accoglierle, accettarle e aumentare la consapevolezza dei propri stati emotivi.
5️⃣ È importante comprendere che si tratta di situazioni complesse e difficili da gestire che, spesso, necessitano del supporto di un team di professionisti (medico, nutrizionista, psicoterapeuta).
7️⃣ Soprattutto nei casi in cui vi sono ricorrenti episodi di abbuffate (accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo) scatenati da eventi emotivi, occorre intervenire attraverso un percorso di psicoterapia allo scopo di trattare tempestivamente e in modo efficace il disturbo alimentare presente.
𝙳𝚘𝚝𝚝.𝚜𝚜𝚊 𝚁𝚊𝚏𝚏𝚊𝚎𝚕𝚕𝚊 𝙿𝚊𝚗𝚝𝚒𝚗𝚒
Foto: insta lamuccaviola.paninicolorati

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