COME AFFRONTARE I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE


Come riportato negli articoli precedenti nei disturbi alimentari in genere le persone utilizzano il cibo per poter colmare il proprio vuoto affettivo ed il costante controllo rivolto agli alimenti è per loro l’unica modalità per manifestare il proprio disagio.
Certamente altri fattori concomitanti possono essere anche gli effetti dell’influenza esercitata dall’industria della moda e l’avvento della società mediatica che diffonde immagini di donne magrissime che vengono considerate come modello da imitare e ideale a cui aspirare.
A volte accade che i disturbi alimentari insorgano all’ingresso dell’adolescenza ovvero nel periodo in cui avvengono il passaggio dal corpo infantile a quello adulto, la separazione dalla famiglia e l’entrata nella società anche se la maggior parte delle ragazze riesce a superare con successo la delicata fase adolescenziale.
In realtà, però, l’origine dello scatenamento dei disturbi del comportamento alimentare è da ricercare principalmente negli eventi della storia di vita delle persone e non unicamente nell’alimentazione.
Il disturbo anoressico-bulimico, ad esempio, non è solo un problema che riguarda l’appetito. Si tratta piuttosto di una malattia che ha a che fare con l’affetto e le emozioni, una malattia che si potrebbe definire dell’amore, un modo cioè di esprimere disagi psicologici profondi, una sofferenza che nasconde gelosamente i suoi segreti (come lutti, separazioni, abbandoni, eventi traumatici) e che interessa quasi esclusivamente le donne, accompagnate da una piccolissima percentuale anche di uomini. Quando si parla di anoressia-bulimia ci si riferisce ad un disturbo enigmatico, con una connotazione femminile, in cui qualcosa della femminilità viene rifiutato, come testimonia il dimagrimento accompagnato di frequente dall’interruzione delle mestruazioni, segno della femminilità per antonomasia.
Ci si potrebbe, quindi, chiedere come dovrebbero comportarsi i familiari che hanno a che fare con soggetto che presenta un disturbo anoressico-bulimico.
Per decifrare il sintomo diventa essenziale distogliere lo sguardo dalla questione alimentare e concentrarlo sull’essere della donna, spostarsi dallo stomaco al cuore. Sicuramente per i parenti risulta più semplice ritenere che si tratti solo di un problema di appetito ma le cause più profonde sono ben diverse ed è indispensabile che la famiglia sia in grado di chiedersi cosa fa soffrire a tal punto una figlia da spingerla ad esprimersi in un modo tanto estremo.
È inevitabile che l’insorgenza del sintomo intacchi l’equilibrio familiare. Non è mai facile per i familiari ritrovarsi coinvolti in un problema come questo poiché le insicurezze, l’impotenza e i sensi di colpa possono essere tanti ed è frequente che non sappiano cosa fare e in che direzione muoversi.
Capita molto spesso che l’eccessiva perdita di peso li porti a diventare particolarmente insistenti con la figlia per indurla a nutrirsi o tale situazione suggerisca loro di far vedere la figlia ad un esperto di nutrizione.
Questa, però, non sempre è la strada da intraprendere poiché in realtà non si sta considerando il problema dalla giusta prospettiva.
L’importanza che viene data al cibo, a scapito dei bisogni affettivi, fa sì che l’anoressica inconsciamente rafforzi ancora di più la sua decisione di dimagrire. Inizia così una lotta interminabile che conduce immancabilmente ad un peggioramento della situazione.
In questi casi è opportuno non colpevolizzare o muovere accuse nei confronti di chi manifesta il disagio come se il problema dipendesse da una semplice questione di volontà. L’affetto e la fiducia sono certamente più appropriati dei rimproveri e delle costrizioni.
Allo scopo di arginare un’evoluzione più grave della situazione diventa, quindi, necessario rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Ciò che preoccupa è l’assoluta criticità e inconsapevolezza delle anoressiche: non si rendono conto della loro problematica, continuano a ritenersi sovrappeso, ripetono senza tregua l’astensione dal cibo e le pratiche di espulsione. Non mangiare viene vissuto come un segno di forza e controllo, per questo chiedere aiuto a qualcuno difficilmente viene preso in considerazione.
In genere sono i familiari che, angosciati, si rivolgono ad uno psicoanalista in grado di supportarli e aiutarli a fare chiarezza. Con loro si ripercorrono le tappe della storia della figlia anoressica per analizzare le dinamiche familiari in gioco, cercare di capire cosa si è interrotto e offrire uno spazio dove possano parlare dei loro problemi senza sentirsi giudicati. Spesso accade che, dopo un certo periodo di colloqui con i familiari, la ragazza si senta rassicurata e accetti di iniziare un percorso psicoterapeutico a sua volta.
Dare voce ai problemi che opprimono l’anima in uno spazio di ascolto in grado di accogliere la sofferenza delle pazienti ha effetti curativi molto efficaci e rappresenta un primo passo verso un percorso di guarigione possibile.
Dr. Raffaella Pantini

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