La differenza tra psicoterapeuta e un amico
Vi è il pericolo che le persone che non possiedono la formazione e gli strumenti adeguati possano equivocare il consiglio di un amico con tutt’altro e viceversa considerare che il supporto di un terapeuta in un momento della vita sia la stessa cosa che trascorrere del tempo a chiacchierare con un amico delle proprie vicissitudini personali.
È quindi necessario sottolineare che psicoterapeuta e amico sono parole diverse che indicano situazioni molto diverse.
Una cosa è parlare dei propri problemi a un amico davanti a un pezzo di torta e un caffè, un’altra è prendere un appuntamento dallo psicoterapeuta e parlargli di sé e dei propri problemi. Si tratta di due circostanze completamente diverse.
Uno Psicoterapeuta non è un amico pagato. Innanzitutto, lo psicoterapeuta non dispensa consigli. È sempre piuttosto attento a non cadere nella trappola manipolatoria di questo tipo di richiesta e lo fa perché solo in questo modo può offrire un reale aiuto. Il compito dello psicoterapeuta è quello di osservare quello che sta accadendo ed egli opera affinché il paziente trovi autonomamente il modo di risolvere il suo problema. Il professionista si trova lì per seguire il paziente lungo questo percorso in cui si possono incontrare diversi ostacoli e difficoltà per vedere come si blocca, dove incespica e per aiutarlo a vedere come fa a fare questo.
Questo processo, che è molto diverso rispetto al dare consigli, può anche essere piuttosto doloroso perché implica che il paziente contatti i propri personali punti di dolore e fragilità.
L’articolo 28 del codice deontologico sancisce che lo psicologo non può operare con persone con le quali "ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale". Il fatto di appartenere all’ordine degli psicologi indica di conseguenza che lo psicoterapeuta non può avere un amico come paziente.
Occorre sempre ricordare che il focus della relazione è rappresentato dal paziente. Per tale motivo il terapeuta non può rispondere ai problemi del paziente raccontando o condividendo i propri problemi o le proprie vicissitudini, come farebbe invece un amico. Tra terapeuta e paziente il discorso è incentrato sul paziente e su ciò che racconta ogni volta durante gli incontri.
Quando il paziente si reca da uno psicoterapeuta, si riserva il suo tempo dedicato alla terapia attraverso il pagamento di un onorario al terapeuta con cui ha concordato gli appuntamenti.
Il pagamento, oltre ad essere il compenso del professionista, ha un valore specifico all’interno della relazione in quanto rappresenta il mezzo di scambio tra terapeuta e paziente e serve a mantenere quella giusta distanza all’interno della quale può esserci il sostegno del paziente.
In questa relazione di aiuto lo psicoterapeuta possiede una peculiare formazione, i propri strumenti specifici, il proprio modello di approccio e di intervento al problema.
Per sviluppare l’abilità di stare a contatto con le proprie questioni personali, che possono riaffiorare nella relazione, deve aver seguito anche un percorso di terapia personale. Nel rapporto col paziente, infatti, può accadere che emozioni ed eventi vissuti vengano riattivati ma lo psicoterapeuta è in grado di gestirle e monitorarle senza agirle. Al contrario, un amico nel dare un consiglio può mescolare i suoi problemi con quelli dell’altro e rispondere sulla base di questi.
Il paziente all’interno della relazione psicoterapeutica sviluppa un'intimità e una profondità comunicativa diversa da quella che si raggiunge con un amico. Il motivo è che lo psicoterapeuta è tenuto al segreto professionale e quindi a proteggere il paziente garantendogli la sicurezza che tutto quello che dirà non uscirà mai dalla stanza di terapia. Lo spazio e il tempo delle sedute sono protetti e forniscono al paziente la rassicurazione necessaria perché possa esprimersi in sicurezza ed essere ciò che è senza venire giudicato.
Ci si potrebbe chiedere allora se al termine del percorso terapeutico terapeuta e paziente possano diventare amici.
Certamente il terapeuta ha rappresentato e rappresenta nella vita del paziente una persona significativa, perciò il paziente può avere la fantasia di diventare amico di quello che è stato il suo terapeuta. Ciò segnala al paziente i desideri che ha proiettato sul terapeuta, di cui ora può riappropriarsi acquisendo la consapevolezza di che cosa ha bisogno per la sua vita.
Affinché questa riappropriazione possa avvenire, lo psicoterapeuta sa che anche quando la relazione d’aiuto finisce, non stringerà amicizia con quello che è stato un suo paziente, non perché non provi sincero affetto per lui, ma per motivi specifici.
Il terapeuta che ha svolto un adeguato lavoro rimane nella vita del paziente un punto di riferimento importante e come tale può essere ricontattato dal paziente in un momento successivo alla fine della terapia anche a distanza di mesi o anni. Perché questa condizione possa verificarsi, però, il terapeuta non deve alterare il rapporto che ha avuto con il paziente trasformandolo in amicizia neanche al termine della terapia.
Perché il paziente possa ricontattare in seguito il terapeuta per un successivo percorso occorre fare in modo che il paziente rimanga l’unico centro della relazione e per fare ciò non è utile che abbia accesso alla vita privata del terapeuta, cosa che accadrebbe se stringessero amicizia.
Ciò non impedirà comunque al paziente di continuare a provare stima, affetto e gratitudine per il suo terapeuta in quanto il paziente porterà dentro di sé sempre l’esperienza vissuta nella relazione terapeutica, come guida interna, a cui si rivolgerà per affrontare i momenti difficili della sua vita.
Dr. Raffaella Pantini
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