Gli aspetti che caratterizzano la psicoterapia in pandemia
La quarantena, introdotta per la prima volta nel 1127 durante l’epidemia di peste a Venezia, rappresenta la principale misura di contrasto adottata durante tutte le pandemie di malattie infettive e contagiose. Nonostante il progredire medico scientifico, il distanziamento sociale, caratterizzato dal confinamento e dalla limitazione dei rapporti sociali, è ancora oggi la principale risposta in presenza di nuove epidemie.
Già in passato, la letteratura ha posto l’accento sui disagi psicologici correlati alle pandemie come l’aumento dei livelli di ansia, di panico e di stress nella popolazione o la modificazione della percezione del rischio e delle modalità di trasmissione. Inoltre, sono stati riscontrati ulteriori effetti psicologici negativi, registrati nelle misure restrittive delle passate quarantene come incremento dei suicidi, aumento di manifestazioni di rabbia o di cause legali, presenza nella popolazione di sintomi depressivi e sintomi da disturbo da stress post-traumatico acuto, comportamenti da evitamento (verso persone con sintomi o luoghi pubblici) e/o comportamenti iperprotettivi.
Tali cambiamenti si sono mantenuti per molto tempo anche a pandemia terminata e più a lungo si è protratto il periodo di quarantena, maggiori sono stati gli effetti psicologici negativi.
Durante una pandemia ci si ritrova in una condizione di minaccia per la vita che è condivisa dalla comunità ma è vissuta dagli individui o dai nuclei familiari in sostanziale isolamento sociale: si tratta di una condizione che porta a una inevitabile limitazione della co-regolazione.
All’interno di un contesto di distanziamento sociale si verifica, quindi, l’attivazione del reaching out (strategia di ricerca dell’altro relativa alla difesa mammifera del pianto di attaccamento) che ci spinge a mantenere almeno le connessioni virtuali con i nostri simili (l’utilizzo di una video chiamata ci permette infatti di percepire la voce e l’espressione facciale dell’interlocutore).
Tale attivazione, però, può rivelarsi non del tutto sufficiente alla co-regolazione e può di conseguenza far saltare il cosiddetto patto sociale, ovvero le norme, le regole e le aspettative alla base del nostro quotidiano vivere e del nostro senso di sicurezza.
Tutto ciò potrebbe avere un consistente impatto sul sistema nervoso in allarme: la concreta impossibilità di attivare il coinvolgimento sociale potrebbe portare ad un’iperattivazione dei sistemi di difesa animale più antichi.
In tali circostanze si possono presentare nell’individuo tendenza comportamentale alla fuga (come, ad esempio, uscite fuori dalle regole) o all’attacco (rabbia intensa verso le istituzioni o verso i conspecifici che si avvicinano), fenomeni di immobilizzazione riconducibili a difese animali come il congelamento (insonnia, paralisi, attacchi di panico) o il collasso (ipoattivazione, ipersonnia, stanchezza, mancanza di motivazione all’azione). Naturalmente ognuno di noi reagirà in base alla propria storia di vita e al proprio modello operativo interno.
Il tentativo della psicoterapia, soprattutto nelle situazioni di emergenza come quelle che stiamo vivendo, è quello di sostenere il paziente per favorire la regolazione del proprio sistema nervoso, in modo da trasformare la situazione peritraumatica in un’occasione di espansione sia della consapevolezza sia della capacità di gestire i propri stati interni e il senso di impotenza esperito.
L’intervento psicologico in ambito emergenziale possiede, infatti, caratteristiche peculiari che lo differenziano da quello ordinario, per cui l’applicazione delle competenze psicologiche e psicoterapeutiche, proprie del setting clinico, necessita di essere adattata ed integrata con le conoscenze delle prassi emergenziali e delle prestazioni online.
Il diffondersi del Covid-19, infatti, ha inevitabilmente indotto un cambiamento del setting terapeutico mediante l’introduzione di software per videochiamate, attraverso cui poter svolgere i colloqui clinici.
Questa importante rivoluzione nel setting terapeutico può far emergere numerose riflessioni cliniche.
La psicoterapia online richiede inoltre al terapeuta una maggiore attenzione alla comunicazione non verbale, che avviene prevalentemente attraverso il proprio volto e quello del paziente, da monitorare costantemente, in un processo parallelo, con continui aggiustamenti.
Una reciproca comunicazione efficace e l’orientamento dell’attenzione del paziente ai propri segnali corporei promuovono il rinforzo del Sé adulto e l’integrazione mente-corpo.
Vi sono anche aspetti della psicoterapia via web che possono contribuire a facilitare la comunicazione del paziente come l’effetto di disinibizione online che evidenzia la tendenza degli individui ad esprimersi e agire con maggior impulsività ed intensità emotiva sul web, piuttosto che di persona.
Lo schermo tra l’individuo e il mondo online crea una barriera che può essere vissuta come una protezione.
In tal caso, la psicoterapia via web è in grado di stimolare maggiormente l’espressione emotiva del paziente, promuovendo l’accesso ad emozioni più intense nella relazione terapeutica e può favorire una maggiore disponibilità e apertura dei pazienti all’identificazione e condivisione, nel dialogo terapeutico, dei propri nuclei di sofferenza più profondi.
A fronte del contesto pandemico e della difficoltà e, a volte l’impossibilità di una relazione in presenza, la psicoterapia ha dovuto mostrare flessibilità e capacità di adattamento ma ciò ha anche permesso alla relazione terapeutica di andare oltre il distanziamento sociale attraverso nuove modalità e strumenti terapeutici.
Dr. Raffaella Pantini
Commenti
Posta un commento
NON RESTARE IMBAMBOLATO: PASSA ALL'AZIONE! scrivi le tue opinioni qui sotto